Rileggere la “Pacem in Terris” al tempo della guerra in Ucraina

di mons. Ettore Malnati - & Dicembre 2022
Monsignor Malnati riflette sull’Enciclica di papa san Giovanni XXIII
L’undici aprile 1963, poche settimane prima della sua morte, Giovanni XXIII dona al mondo la sua enciclica-testamento Pacem in Terris, affinché l’intera famiglia umana abbia a riflettere sull’impegno educativo alla pace.
Si tratta di un documento costituito da un’introduzione e da tre aree. La prima sul «L’ordine tra gli esseri umani» (dal n. 5 al 25); la seconda su «I rapporti tra gli esseri umani e i poteri pubblici all’interno delle singole comunità politiche» (dal n. 26 al 46); la terza su «I rapporti tra le comunità politiche» (dal n.47 al 91).
Il mondo nell’ottobre del 1962 aveva temuto per la pace a causa della questione di Cuba, dove gli Stati Uniti d’America e l’Unione Sovietica avevano preso posizioni di una conflittualità pericolosissima.
Qui l’intervento di Giovanni XXIII, con il suo carisma di autentico diplomatico nello stile evangelico, fece breccia sia su Kennedy che su Krusciov. Il mondo fu risparmiato da un probabile devastante conflitto. Ciò che non poté la politica lo potè l’autorevolezza morale ed umana del “vecchio Papa di Roma” stimato per le sue convinzioni di uomo di pace.
Al fine di offrire una riflessione che portasse all’educazione alla pace alcune personalità anche accademiche come monsignor Pietro Pavan, poi cardinale, esortarono Papa Roncalli a produrre un’enciclica proprio riguardante un’articolata riflessione rivolta non solo ai cristiani ma “nonché a tutti gli uomini di buona volontà sulla pace fra tutte le genti nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà”.
Già questo “frontespizio” dell’enciclica è indice delle fondamenta dalle quali parte il profetico messaggio giovanneo. Oggi anche se sono passati quasi 60 anni, di fronte a ciò che è successo e succede in Ucraina valgono le considerazioni dell’enciclica circa il diritto alla libertà nella scelta del proprio stato (n.9); e quindi la condanna a invasioni di territorio aventi una sovranità riconosciuta internazionalmente.
Il Papa, che ha vissuto nel suo ministero sacerdotale ed episcopale i drammi delle due guerre mondiali, chiede alle “comunità politiche economicamente più sviluppate di cessare la creazione di armamenti giganteschi” (n.59) che inducono poi “le altre comunità politiche… a tenere il passo ad armarsi esse pure” (n.59).
Giovanni XXIII, oltre a condannare la guerra, esorta a cessare gli “esperimenti nucleari a scopi bellici” (n.60) in quanto causa di “conseguenze fatali per la vita della terra” (n.60).
Papa Roncalli si rende conto che oltre al resto degli armamenti è doveroso “adoperarsi sinceramente a dissolvere…. la psicologia bellica” (n.61). Questo è un obiettivo – dice il Papa – reclamato dalla ragione” (n.62) e quale vicario di Cristo, principe della pace (cfr n.63), si sente in dovere di “scongiurare gli uomini, soprattutto quelli che sono investiti di responsabilità politiche, a non risparmiare fatiche per imprimere alle cose un corso ragionevole ed umano” (n.63).
Vi è poi, senza citarlo, un monito per l’Organizzazione delle Nazioni Unite che certo, nel frangente attuale, hanno mostrato tutta la loro debolezza istituzionale verso il ristabilimento del diritto e quindi della giustizia.
Così scrive Giovanni XXIII: “Nelle assemblee più alte e qualificate considerino a fondo il problema della ricomposizione pacifica dei rapporti tra le comunità politiche sul piano mondiale, ricomposizione fondata sulla mutua fiducia, sulla sincerità nelle trattative, sulla fedeltà agli impegni assunti” (n. 63). Poi aggiunge che “i rapporti tra le comunità politiche vanno regolati nella libertà” (n. 64).
Giovanni XXIII chiude l’enciclica richiamandosi all’invito di Cristo Risorto: Pax vobis, e a Lui si rivolge perché “allontani dal cuore degli uomini ciò che può mettere in pericolo e li trasformi in testimoni di verità, di giustizia, di amore fraterno” (n. 91).